venerdì 24 gennaio 2014

LE RACCOGLITRICI DI OLIVE IN CALABRIA NEL 1959. IL LAVORO DELLE DONNE - Donne di montagna, le tenaci e infaticabili signore di Canolo

LE RACCOGLITRICI DI OLIVE IN CALABRIA NEL 1959. IL LAVORO DELLE DONNE - Donne di montagna, le tenaci e infaticabili signore di Canolo


Molte delle raccoglitrici di olive, tutte donne, escono di casa all`alba e percorrono chilometri a piedi prima di raggiungere gli oliveti, dove lavorano dalle dieci e le tredici ore al giorno, a seconda della stagione. Tornate a casa, le attendono i lavori domestici. Quelle che abitano più lontano, le "emigranti", vengono alloggiate in dormitori: grosse stanze dove vengono stipate molte persone o piccoli locali bui, privi di finestre e di cucina. Senza assistenza sanitaria, senza nessuno a cui lasciare i bambini, le olivicole si portano i più piccoli nei campi, mentre i più grandicelli, tolti presto dalla scuola, partecipano già alla raccolta. Lavorano scalze, sempre chinate a terra, e vengono pagate a cottimo: in olio o in danaro. Il lavoro comprende, per alcune, anche il trasporto dei sacchi, che pesano tra i quindici e i venti chili l`uno. Molte non sanno cos`è un contratto. Sembra un racconto di altri tempi, ma è una fotografia dell`Italia della fine degli anni Cinquanta, quale emerge dall`inchiesta condotta da Ugo Zatterin sul mondo del lavoro femminile. Il filmato Braccianti del Sud è tratto dalla serie di inchieste "La donna che Lavora" di Zatterin e Giovanni Salvi, sul mondo del lavoro delle donne. Il programma all`epoca della prima messa in onda, venne considerato eversivo dai vertici aziendali, ma Salvi e Zatterin riuscirono ad evitare la censura e l`inchiesta andò in onda.

Donne di montagna, le tenaci e 

infaticabili signore di Canolo


«Non ci sono più le donne di una volta». Una frase che tutti abbiamo detto e sentito tantissime volte. Nell’ascoltarla si pensa alle nostre nonne o bis nonne che si svegliavano all’alba, lavoravano nei campi o facevano il mercato e badavano a casa e figli. Donne che riuscivano a far quadrare i conti, emancipate a modo loro e dalla tempra d’acciaio.

Spesso sentendo questa frase crediamo realmente che quel tipo di donna non esista più. Se ci confrontiamo con le donne fiere che fanno bella mostra di se in foto in bianco e nero nelle cornici sulle mensole delle nostre case riflettiamo sulla dedizione e la forza dimostrate da quelle antenate. Vita dura, tanti sacrifici.

Ma siamo certi che donne di quel genere non esistano più? E che se dovessero esistere vivano in Calabria? A noi, che sulle pagine dei giornali appariamo come una terra retrograda, in cui le figlie, le mogli, le sorelle vengono segregate in casa dagli uomini/padroni, può capitare di ospitare nei paesi del reggino delle donne indipendenti, lavoratrici, madri e mogli vive e vitali?

La risposta a tutte queste domande sono le Donne di Canolo. Sveglia alle cinque e una giornata di lavoro che comincia. Che si alzino per fare il pane, per dare da mangiare agli animali nelle stalle o per prepararsi ad aprire il proprio banco al mercato, queste signore sono pronte e combattive ogni giorno. Ne abbiamo conosciute alcune e vogliamo raccontarvi perché «Se ci fossero cinquecento persone come noi il paese cambierebbe volto».

Parliamo ad esempio delle sorelle Caruso, Rosanna, Caterina e Daniela. Sono timide, modeste, lavoratrici infaticabili, ma con un sorriso sempre spontaneo e sincero pronto ad affiorare sulle facce pulite e fresche. A vederle non sembrerebbero avere neanche metà della forza che invece possiedono. Piccole di statura ma capaci di portare avanti un’azienda agricola di tutto rispetto nel paese. E al mercato coperto di Siderno il piccolo alimentari delle Caruso è sempre pieno di gente attratta dagli ottimi prodotti caserecci.

La passione e la concretezza di queste imprenditrici sono un motore. E quando affermano che cinquecento persone come loro potrebbero fare la differenza non hanno tutti i torti.

Canolo oltre alle sue Donne ha dimostrato di essere il luogo vocato alla produzione di salumi di qualità superiore. La ditta Stilo infatti sta sbancando nei banchi delle salumerie reggine. E non solo. Addirittura Santo Versace ha voluto il prosciutto di Canolo al suo tavolo. L’ha fatto servire a Roma durante una delle sue tradizionali serate di degustazione per l’annuale asta di beneficenza che organizza nella Capitale.

Nelle salumerie reggine il prosciutto di Canolo è più amato del Parma, del San Daniele. Ma anche gli altri insaccati (soppressate in primis) non temono confronti con quelli di Norcia.

Merito nel microclima aspromontano che caratterizza il paesino di 700 anime nella Locride. Un misto di basse temperature e correnti mediterranee rendono il clima di Canolo perfetto per stagionare in modo naturale le cosce dei suini. Garantendo una qualità maggiore del prodotto che viene conservato in celle di stagionamento solo tre mesi l’anno.
Ma questo prosciutto è frutto anche di una sfida e della caparbietà dei proprietari dell’azienda agricola Stilo, Antonello e Laura. I coniugi hanno investito sul proprio paese e sulla qualità del prodotto. I loro maiali vengono nutriti con mangimi della loro stessa azienda. Vengono allevati fino a che non arrivano a pesare circa 200 chili, per oltre un anno quindi, per poi essere trasformati in salumi.
E nel prosciutto che sta conquistando la Locride.
Immaginate cosa potrebbe diventare Canolo unendo queste due importanti risorse che possiede. La fattività, la voglia di lavorare e la forza delle sue Donne e il prosciutto.
Due bombe pronte ad esplodere e a creare finalmente un’economia reale in un territorio che di sviluppo sente sempre e solo parlare, ma che non ha mai visto realizzarsi progetti concreti. Questa sì che sarebbe la svolta per sconfiggere la ndrangheta clientelare. Posti di lavoro.
In quattro anni Canolo e gli Stilo hanno dimostrato come anche nella Locride ci siano delle eccellenze. E le donne di Canolo rientrano in queste eccellenze. Pensate se si riuscisse a coinvolgere un intero paese nella produzione dei salumi. Con persone come Rosanna e le sue sorelle, con la loro tempra e la loro dedizione al lavoro, pensate a che livello potrebbe arrivare il prosciutto di Canolo.
Adesso come adesso gli Stilo riescono a produrre circa 400 cosce di suino l’anno. Ma la richiesta cresce e loro per mantenere la stessa qualità del prodotto sono costretti a rifiutare tante domande. Pensate se riuscissero ad ottenere il tanto agoniato e osteggiato permesso per comprare un terreno per ampliare il loro allevamento. E se a Canolo nascesse un consorzio di allevatori e produttori di salumi? Se Rosanna, Daniela, Caterina e cinquecento persone come loro riuscissero a fare di Canolo quello che altri imprenditori caparbi e tenaci hanno fatto a Parma con il prosciutto o a Norcia con i salumi?
Nei Sud del mondo, nei Nebrodi (siciliani) e nella Spagna meridionale, sono state impiantate delle produzioni di livello superiore. Il prosciutto migliore al mondo è infatti un prodotto del Sud. Del Mediterraneo. Il Pata Negra, nome completo Jamón Iberico de Bellota, è una delle delizie enogastronomiche mondiali.
Ma soprattutto ha creato posti di lavoro e sviluppo in una zona con caratteristiche climatiche peggiori delle nostre, almeno per la produzione di salumi.

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